Per Accendere la Luce

Partiti il 19 maggio per dare un contributo molto concreto alle Sorelle di S. Gemma che operano in Congo da 50 anni, tre ragazzi lucchesi sono tornati pieni di entusiasmo per l’esperienza fatta.

Un elettricista, un magazziniere ed una laureanda hanno preso il volo con l’Ethiopian airlines per raggiungere Bujumbura, capitale del Burundi, dove sono atterrati nel pomeriggio del 20 maggio 2017 per proseguire a bordo di una gip per il Congo e precisamente per Bukavu. Non erano soli. Si erano uniti ad un ingegnere di Aprilia, ad un tecnico di Torino e alla Madre Antonia Grosso, Superiora Generale della Congregazione Missionaria Sorelle di S. Gemma.

 

Cosa li ha spinti a partire? Il desiderio di fare qualcosa di utile per gli altri, di andare in Africa non più da turista ma da uomo con le maniche rimboccate, da studente alla ricerca di un argomento interessante per una tesi sperimentale.

 

Cosa hanno trovato? Arrivare a Bukavu è stato come essere risucchiati da una marea di ragazzi, tutti minorenni, che ogni giorno frequentano i centri del PEDER (progetto di recupero dei ragazzi della strada) gestiti da tre Sorelle di S. Gemma insieme a una trentina di laici locali. Che mondo! Che storie! Che impegno! Fuori da casa dalla mattina alla sera, presenti sulle strade alla mattina presto e alla sera al calar del sole, seduti attorno ad un tavolo per fare il punto della situazione, presenti nelle classi per l’alfabetizzazione e per la formazione professionale. Provvedere alla colazione a base di bui (farina di mais, zucchero, latte in polvere, cereali) e al pasto a base di bugali condito con fagioli, al materiale didattico, al materiale per gli ateliers (falegnameria e sartoria), tenere i conti, ascoltare i ragazzi, cercare le famiglie, promuovere la formazione dei formatori, far conoscere il progetto nelle varie conferenze a livello mondiale. Prendere la macchina e andare al CTO (centro di prima accoglienza), proseguire per Bagira (centro di alfabetizzazione per ragazzi di famiglie povere), verificare la situazione di Kadutu (per ragazze della strada), fare sosta ai mercati, controllare i punti di ascolto presso il lago, incontrare nuovi ragazzi, fare spese, stendere nuovi progetti, sperare nella Provvidenza che da anni si serve di alcune organizzazioni per provvedere al minimo necessario per portare avanti questa macchina che quando sembra essere in quarta ripiomba alla prima rallentando tutto ad un tratto la sua corsa. E sì. I cedimenti/fallimenti sono possibili sempre. Sia da parte dei ragazzi che non riescono a trovare ragioni per cambiare vita, sia da parte degli operatori che rischiano il burn–out dovendo trotterellare da un luogo all’altro, da un servizio all’altro, molte ore al giorno, tutti i giorni.

 

Cosa hanno fatto in dieci giorni? “Abbiamo acceso la luce!” risponderebbe con il suo bel sorriso il nostro amico Alessandro. Ed è vero. Erano partiti per dare luce e questo hanno fatto. Innanzitutto nella Casa di Matteo, presso il centro di Nguba, dormitorio per i ragazzi di 12/13 anni in attesa di essere reintegrati nelle loro famiglie. Il buio che accompagnava le ore della sera e della notte è stato infranto dalle vivaci luci collegate ai pannelli solari collocati sul tetto della struttura. Il ponteggio si è poi spostato presso la casa delle suore perché anche per loro ci potesse essere corrente in ogni momento della giornata. Il servizio elettrico statale, bisogna dirlo, non funziona proprio! E i motivi sono i più diversi. Alla loro partenza gli amici rimasti sul posto con la Madre Antonia, Gianluigi e Lazzarino, si sarebbero spostati al CTO per fare la stessa cosa: installare pannelli, dare corrente, accendere luci.

E la giovane laureanda che ha combinato? Ha girato instancabilmente raccogliendo dati preziosi sul servizio svolto dal PEDER nei vari quartieri di Bukavu accompagnando il tutto con documentazione fotografica.

Principi del PEDER: accoglienza e ascolto;

modalità di accompagnamento: incontri frequenti, quadernino personale sul quale appuntare ogni cambiamento, colloqui psicologici;

collaborazioni: con la polizia dell’infanzia;

attenzioni particolari: i ragazzi più piccoli, ovvero i bambini, perché più facilmente recuperabili; progetti in campo: alfabetizzazione e formazione professionale rivolta a “ragazzi della strada”, a “ragazze vittime della prostituzione” per un pugno di niente, ai “minori in conflitto con la legge” che trovano collocazione in una stanza del carcere in cui devono dividersi il letto in tre ed evitare di prendere aria perché il piccolo cortile è costantemente esposto al sole;

preparazione pasti: a cura dei ragazzi, presso le fatiscenti cucine composte da una tettoia sotto la quale sono collocati due bracieri sui quali prendono posto ogni giorno i due grandi pentoloni per scaldare l’acqua per bugali/riso e fagioli;

esperienze condivise: visita ai mercati lungo il lago con sr Olimpia e Stefanie, sosta nei “bar”, piccole discoteche che la sera diventano luoghi di prostituzione.

La sua attenzione si è fermata anche sulla situazione di Kavimvira, l’altra comunità in cui due Sorelle di S. Gemma gestiscono un dispensario e un foyer. Catturato dal dispensario, l’occhio di Rebecca ha fotografato la sala parto e la sala operatoria dove avvengono i parti cesarei; le due camere per i ricoveri; la sala consultazione dove ogni giorno tutti gli operatori (dottore, infermieri, stagisti) si confrontano sul da farsi e ricevono i pazienti; l’ambiente riservato ai bambini malnutriti ai quali si controlla peso e misura e si fornisce cura da fare a casa. Anche qui, tutto debitamente al buio e in qualche caso parto con la torcia!

 

Cosa si sono portati a casa? Alessandro confessa di aver messo nella propria valigia un sacco di emozioni, tutte positive, sperimentate nell’incontro con le suore, gli operatori e i ragazzi. Si augura che altri, soprattutto giovani, trovino il coraggio di partire per toccare con mano, ad ogni passo che fai, il Signore Gesù nella persona del povero, dell’abbandonato, della sfruttata, del piccolo e del grande che non hanno prospettive per il loro futuro e annegano la fatica e la mancanza di speranza nell’uso di sostanze. Andrea, dal suo punto di vista pacato e ben misurato, riferisce di essersi reso conto che le cose semplici sono le più belle mentre spesso, concentrandosi su questioni irrilevanti, si perde tempo e non si trova la gioia. Rebecca, più razionale, calcola di essere stata in Congo al 40% per la tesi e al 60% per un’esperienza personale che le permettesse di capire come gira il mondo indipendentemente da come lo presenta lo schermo. Spaesata all’inizio, ha trovato molto calore, colore e cordialità, affetto e assenza di giudizio. Non riesce a trovare un termine di paragone perché ritiene che vada vissuta in prima persona. Dopo essere tornata a casa, al momento in cui ha aperto la valigia, si è accorta di essersi portata dal Congo una lezione di vita: “Occorre reimparare a vivere. In qualche parte ci sono fratelli che cercano di sopravvivere mentre noi siamo stanchi di vivere. Torniamo ad essere più umili e più veri.”